Dj Fabo. Il Pm chiede l'archiviazione per Cappato.

di redazione 18/01/2018 CULTURA E SOCIETÀ
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La procura di Milano ha chiesto l’assoluzione di Marco Cappato «perché il fatto non sussiste». Il leader dell’associazione Luca Coscioni ed esponente dei Radicali è imputato a Milano per aiuto al suicidio in relazione alla vicenda di Dj Fabo. Il pm Tiziana Siciliano insieme alla collega Sara Arduini hanno chiesto in subordine alla corte d’assise di eccepire l’illegittimità costituzionale.

L’aiuto al suicidio, reato previsto dall’articolo 580 del codice penale, «secondo noi deve riguardare il momento esecutivo del suicidio, non le fasi pregresse. E nella fase esecutiva del suicidio di Fabiano Antoniani, Cappato non ha svolto nessun ruolo». Lo ha sottolineato il pm di Milano Sara Arduini nella requisitoria del processo a carico del leader radicale Marco Cappato, imputato per aver accompagnato il 40enne milanese Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico e cieco dopo un grave incidente d’auto, in Svizzera a morire nel giugno del 2014. Il processo, ha ricordato il magistrato in un passaggio del suo intervento in aula, nasce dalla decisione del gip Luigi Gargiulo, che ha respinto la richiesta di archiviazione della Procura, disponendo l’imputazione coatta di Cappato per agevolazione al suicidio e rafforzamento del proposito suicidario di Dj Fabo. 

Come emerso dai testimoni ascoltati in aula - ha detto il pm Arduini - la decisione del suicidio assistito era già stata presa da Fabiano prima ancora di entrare in contatto con Cappato. Già a primavera 2016 la fidanzata di Fabiano aveva preso contatto con la clinica svizzera Dignitas, provvedendo al pagamento della quota associativa. Fabiano era così determinato nella sua scelta da intraprendere uno sciopero della fame e della parola. La sua decisione irreversibile è stata presa prima di conoscere Cappato». Per il pm, «Cappato non ha avuto nessuna influenza sul proposito di Fabiano. Fino alla fine chiese a Fabiano se ci voleva ripensare». In altre parole, «Cappato non ha rafforzato il proposito suicidario di Fabiano, ha semplicemente rispettato la sua volontà e, come emerge dagli atti depositati a processo, non c’è nessun dubbio sulla piena capacità di intendere e di volere di Fabiano».

Le dichiarazioni di Cappato

«Se dovesse essere giudicato irrilevante l’aiuto che ho dato a Fabiano, a una assoluzione preferisco una condanna», ha sostenuto Cappato nelle sue dichiarazioni spontanee in aula. Dichiarazioni con cui ha rivendicato di essere «andato ad aiutare una persona che aveva il diritto a morire con dignità». Cappato - che ha preso la parola dopo che i suoi difensori hanno chiesto alla Corte d’assiste di mandarlo assolto «perché il fatto non sussiste» - ha chiesto alla Corte di fare una «riflessione» su quante persone in questi anni si sono recate oltreconfine per praticare il suicidio assistito in modo «clandestino». «La differenza - ha aggiunto - è che qui Fabiano ha voluto agire pubblicamente». «Se dovesse arrivare una assoluzione che definisce irrilevanti le mie azioni, mentre sono stati determinanti, vi dico che preferirei una condanna - ha affermato Cappato rivolgendosi ai giudici -. Quella motivazione paradossalmente aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere: si accetterebbe che solo chi è in grado di raggiungere la Svizzera può essere libero di scegliere. Se Fabiano fosse stato residente a Catania, non sarebbe potuto andare in Svizzera e nemmeno se non avesse avuto 12mila euro a sua disposizione». Cappato ha concluso le sue dichiarazioni affermando che «Fabiano, quando ha deciso di rendere pubblica la sua storia, lo ha fatto con la presunzione di porsi come modello, ma di chi si assume pubblicamente la responsabilità delle proprie scelte. Questo significa che altri, nelle stesse condizioni o peggiori, si possono assumere le responsabilità per scelte opposte».


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